Questione di colloqui

Leggendo questa storia di Paola Filippini, respinta al colloquio di lavoro per una domanda sui figli, sparsa ovunque sui media, mi vien da dire che siamo un popolo strano.
Strano che ce ne accorgiamo solo ora... dopo anni che è così, ne abbiamo raccontate di storie simili, mi piange il cuore che ci si sorprenda come se fosse una novità. Una novità da consumare e da mandare presto in soffitta, come tante altre storie.

La verità? Non abbiamo interlocutori, c'è un falso interesse attorno a questi problemi, che non riescono a diventare "politici" e restano nella dimensione personale. E domani tutto tornerà come prima. Sono sgomenta di fronte alla facilità con cui voltiamo pagina. E poi si dovrebbe raccontare anche della quasi totale assenza di solidarietà femminile in queste circostanze e non solo.
Siamo sempre fermi alla singola storia che spiega e non spiega allo stesso tempo. Non spiega perché si resta confinati nell'esperienza "personale" e non consente di sentire questa come parte di un problema più ampio, complesso e collettivo.

Quanti post ho scritto sul mio blog raccontando la mia esperienza di lavoratrice madre, delle prassi di colloquio e di trattamento che cambiano non appena decidi di sposarti o peggio di avere un figlio. Le nostre capacità lavorative iniziano a non contare più.
Improvvisamente veniamo inghiottite da un buco nero.
E dobbiamo scegliere.
In ogni caso nulla sarà più come prima.
Verrà messa a dura prova la fiducia in noi stesse.

Ma poi riusciamo a opporci a tutto questo, a non chinare più la testa e a raccontare di questa violenza. Per tutte le altre, anche se non è sufficiente, perché prima sembra che ciascuna di noi dovrà passarci personalmente, patire la stessa sorte prima di capire.
Ecco perché affermo: "quante volte accadrà ancora prima di sentirlo come una violenza dalla portata devastante per l'intera società? Solo perché pensiamo che a noi non capiterà mai, che nella nostra torre dorata mai ci raggiungerà?"

Raccontare, uscire allo scoperto, nome e cognome, non significa piangersi addosso come da alcune ho sentito dire, ma prendere una posizione, rischiare in prima persona, principalmente perché questa non è una questione privata ma politica. E la politica non la si fa tra le mura domestiche, ma là fuori, per tutte noi.

Quante storie sono state raccontate sinora senza essere ascoltate? E a costo di essere scomoda, mi sembra che siamo fin troppo abituati a buttare la polvere sotto il tappeto, sinché non si palesa un'opportunità mediatica di parlarne, per cavalcarne l'onda emotiva.
E quel rifiuto e repulsione di fronte a questo tipo di violenze, prima dov'erano?

E intanto le donne sono anni che si confrontano con queste prassi, sole davanti a centinaia di colloqui di questo genere, in cui le tue competenze scompaiono, diventano ininfluenti, e tutto ti viene candidamente spiegato con un "comprenderà che per questa posizione..."
E chiaramente non potrai evitare di dichiarare il tuo stato di famiglia all'infinito, perché ormai è così che funziona quasi dappertutto, e tanto ci sarà una fase dell'iter di colloqui in cui questo segnerà la differenza. Magari verrai assunta, ma peserà sulla tua RAL e sui premi produzione che ti verranno negati.

Peserà sulla tua vita lavorativa, e ti faranno sentire una dipendente ignobile ogni volta che chiederai un permesso per assistere tuo figlio o un genitore. Alcuni ti fanno compilare dei moduli pre colloquio, con domande così. E poi ti devi firmare il consenso al trattamento dei dati personali, così tutto sembra regolare, regolarissimo.
In alcune realtà non si premurano nemmeno di chiederti certe informazioni faccia a faccia, adoperano degli asettici moduli. Se non li compili, la tua selezione finisce lì. Sapete quante volte mi sono sentita rispondere che pur avendo le competenze e il profilo richiesto, avevano preferito un più affidabile uomo?
Altro che utilizzo delle nuove tecnologie per riorganizzare il lavoro. Vuoi mettere un uomo pronto all'uso h24, con moglie che sbriga tutto il resto al suo posto?

Di norme ce ne sono tante, così come di servizi, ma quante le conoscono e saranno in grado di usufruirne? A volte sembra di essere tornate agli anni precedenti allo Statuto dei lavoratori. Alcuni esempi di "ombrelli" normativi:

- la nostra Costituzione, primo tra tutti l'art. 3.

- il decreto legislativo 198/2006 all'art.27 (http://riqualificazione.formez.it/sites/all/files/art27dLgs198_06.pdf)

- esiste il servizio di assistenza legale delle consigliere di parità, nominate dal Ministero del Lavoro, che operano per rimuovere le discriminazioni e garantire parità in materia di questioni di lavoro.

Non ci sono diritti se nessuno ti informa o ti sostiene sino in fondo e trovo l'atteggiamento di fronte a queste storie molto ipocrita.
Finora dove siamo stati?

Le nostre storie hanno tutte il medesimo peso, perché la tua e la mia discriminazione hanno tutte la stessa origine, un sistema imprenditoriale in cui conta poco la qualità, in cui i pregiudizi e le discriminazioni sono all'ordine del giorno, il clima di omertà, connivenza e clientelismo che garantisce a molte di noi donne l'immunità a certi trattamenti. Se tu sorella non vedi il problema o lo scopri solo ora, è perché in questo sistema di "aiuti amicali" ci sei immersa.

E non venirmi a raccontare che non c'è niente da fare.
Perché ci hanno insegnato molto bene a stare al nostro posto, in silenzio, tanto da non poter più sperare in niente. E non c'è modo di risolverlo se non ribellandosi, rifiutandosi di prendere parte a questa pantomima. Alcune di noi pensano che i diritti siano come delle merci da acquistare con le proprie forze di singole. Finché continueremo ad essere monadi, la situazione potrà solo peggiorare.
Ci sono donne che non hanno mai fatto un colloquio autentico in vita propria, che sono sempre transitate per corridoi privilegiati e agevolati.
Ebbene per tutte le altre le cose sono ben diverse e la vita non è leggera. Soprattutto quando devi pagarti l'affitto e le bollette.

E quando sei "dentro", dopo tanta fatica, ti ritrovi magari a dover "conciliare". Coniugare purtroppo non dipende solo dalla collaborazione maschile, perché non è una mera condivisione e suddivisione di compiti. Quando un datore di lavoro non comprende la parola flessibilità, in periodi di vita in cui ti ritrovi a dover seguire figli o genitori anziani, c'è poco da fare, tu da quegli orari pazzeschi e da quei ritmi di lavoro non esci, se non licenziandoti.

È una questione di differenze di potere e nelle aziende spesso siamo sole.
Anche su questo versante ho speso tante parole, tante da trovarle spesso io stessa inutili, sparse al vento.
Il mio impegno non viene meno, ma a volte mi piacerebbe sentire un po' di sostegno in più.

Senza sentirmi dire che alla fine è solo una questione di organizzazione della propria vita e che se non ce la si fa è solo per un "errore" personale. Ce ne freghiamo della dimensione politica di ciò che accade nelle nostre vite, siamo tornate a una dimensione da donne impegnate a guardare il proprio ombelico o poco più.

Facciamo fatica sì. E forse ha cambiato le regole più mia nonna di quanto abbia saputo fare mia generazione.
La mia amata nonna Rosa ci teneva che io e mia madre studiassimo e ci realizzassimo oltre la famiglia.
Tu nonna lo avevi capito da sola, che c'è altro, purtroppo ancora oggi nel 2015 c'è chi non vuole che lo realizziamo e lasciarci essere ciò che desideriamo.

Ritratto di Redazione

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