Arriva dalla Sigo (Società Italiana di Ostetricia e Ginecologia) e dall’Associazione Strade onlus un’aberrante istanza presentata al Ministro della Salute Ferruccio Fazio di proporre per le donne in depressione post parto il TSO extraospedaliero a domicilio. 

Cos’è il TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio)?
Si tratta di un atto di tipo medico e giuridico che consente l’imposizione di determinati atteggiamenti e terapie ad un soggetto affetto da malattia mentale. Il TSO viene emanato dal Sindaco del comune presso il quale si trova la paziente su proposta motivata di un medico. Dell’attuazione della procedura viene poi informato il Giudice Tutelare di competenza.

L’attuazione di questa proposta farebbe si che circa il 10% della donne che hanno avuto un figlio (si stimano circa 1000 donne ogni 12 mesi) verrebbero trasformate in veri e propri zombi a causa di potenti terapie farmacologiche, e private della possibilità di relazionarsi in modo libero con i loro figli compromettendo inevitabilmente e permanentemente non solo la relazione madre-bambino ma tutte le dinamiche di coppia e familiari.

Una proposta di questo genere marchia sulle donne in depressione post parto l’indelebile etichetta di malate mentali e sottende l’idea che tutte siano potenzialmente delle matricide.

Dico allora perché non ritirare la patente a tutti i guidatori? Non è forse vero che potenzialmente ciascuno di noi è a rischio di infarto e quindi, guidando una macchina tra il traffico, responsabile di incidenti stradali con feriti e morti? Perché in questo caso non equipararci tutti a potenziali omicidi?

Alcuni mesi fa ricevevo sul mio sito una mail nella quale si informava che a breve sarebbe arrivata anche in Italia una proposta proveniente dagli Stati Uniti secondo la quale tutte le donne in gravidanza sarebbero state obbligate a sottoporsi ad una visita psichiatrica per valutare il loro stato di salute mentale al fine di prendere, in via preventiva, adeguati provvedimenti di tipo psichiatrico. Bene, mi sembra che questa proposta della Sigo e dell’Associazione Strade onlus stia andando proprio in questa direzione.

Mi rendo conto di quanto sia più facile, sbrigativo e sicuramente emotivamente non coinvolgente somministrare farmaci piuttosto che soffermarsi il tempo necessario, per quanto breve o lungo possa essere, ad ascoltare il dolore psicologico di queste madri, a prendersi carico della lacerante sofferenza che attanaglia ogni momento della giornata, ogni loro gesto, ogni loro pensiero.

Nell’ambito delle cure palliative si è passati dalla pratica del to cure (curare) alla pratica del to care (prendersi cura in modo globale della persona nel rispetto dei suoi bisogni non solo fisici ma, soprattutto, psicologici). Proposte come quella della Sigo e dell’Associazione Strade onlus lascia chiaramente capire come anche nell’ambito della depressione post parto si sia lontani anni luce da questo cambiamento fondamentale ed irrinunciabile per il vero benessere psicofisico delle persone.

La depressione post parto si può prevenire ma sembra più comodo, ed aggiungo vantaggioso per alcuni, lasciare che il malessere si cronicizzi in disperazione per poi intervenire in modo coercitivo.

Molto spesso le avvisaglie della depressione post parto si possono cogliere durante la gravidanza ma questo richiede una diversa strutturazione dei Corsi di Preparazione al Parto ed un intervento multidisciplinare. Già il termine Corso di Preparazione al Parto è significativo dell’errore fondamentale di impostazione. Alle donne non si deve insegnare a partorire, lo sanno già fare da sole perché la natura ha provveduto molto prima dell’intervento medico! Le donne devono essere accompagnate in un percorso di maternità così come la coppia deve essere sostenuta in un percorso di genitorialità. Sarebbe quindi tempo di abolire la definizione Corsi di Preparazione al Parto per passare ad un più corretto Percorso di Accompagnamento alla Nascita.

Il vissuto del parto spesso ha nello sviluppo della depressione post parto un ruolo primario. Vivere il proprio parto come qualcosa che non ci è appartenuto e rispetto al quale non ci si è sentite accolte, sostenute ma piuttosto fatte sentire non all’altezza delle aspettative che, troppo spesso, il personale sanitario ha nei confronti della donna in travaglio e che trasmette senza saper minimamente discriminare sul significato delle parole usate o  senza consapevolezza dell’effetto di toni accusatori con i quali si rivolge alle mamme in travaglio e parto.

Per quanto riguarda poi il dopo parto non sono presenti in Italia in modo capillare e sistematico servizi idonei ed adeguati a sostenere la mamma sia nella paure che caratterizzano la gestione del bambino sia il sostegno all’allattamento al seno (spesso fonte di angosce profonde che disequilibrano ulteriormente la neo mamma).

Si può capire che la depressione post parto è in molti casi, la maggioranza, prevenibile a patto che si strutturino interventi idonei sia prima del parto, sia durante i momenti di travaglio/parto sia, soprattutto, nel post parto. Certo che interventi di questo tipo sono più onerosi da un punto di vista economico e molto più coinvolgenti da un punto di vista emotivo. Risultato della riflessione (riflessione, non voglio credere, nessun luminare ha fatto poiché, se così fosse, vero luminare non sarebbe) molto meglio zombizzare le puerpere e privarle dei loro diritti di mamme e dignità di persone.

A questo punto vi chiedo: vogliamo rimanere in silenzio nell’attesa che altri decidano del nostro futuro? Della qualità della nostra vita e delle nostre relazioni? Che ci marchino indelebilmente come si fa con il bestiame?

 

Articolo di Stefania Venturini, Psicologa
www.stefaniaventurini.it

Fotografia di Bruna Zavattiero

 

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