Qualche tempo fa scrivevo qui: "L’obiettivo della piena cittadinanza per le donne era subordinato a una trasformazione radicale della società, a partire per esempio dal tema della cura o dell’accudimento. Tradizione e femminismo potevano e possono davvero conciliarsi?

“Se il padre lavora e la madre lavora, nessuno rimane a guardare i figli. O il governo riconosce la situazione e provvede all’assistenza all’infanzia (come avviene in molti paesi europei) o la cura dei bambini diventa un lusso alla portata dei ricchi e un problema per tutti gli altri.” (Ariel Levy)

Possiamo ben dire che la nostra memoria distorta ha causato non pochi problemi.

Inoltre, sostenendo che “una donna vale l’altra”, purché fossimo rappresentate, ci ha azzoppate, perché ha prevalso il compromesso e le posizioni radicali e innovative sono state accantonate. Per cui ci troviamo di fronte anche a un problema enorme di rappresentanza, quale e come si debba definire e realizzare. Dobbiamo riflettere su cosa è stato e dovrà essere il nostro rapporto con il potere e come declinarlo."

In fondo, abbiamo scelto di difendere diritti e status di chi era già privilegiato, portando avanti i loro desiderata, mantenendo le strutture tradizionali socio-economiche, nei rapporti tra gli individui. E forse qui è il nocciolo della questione. Era la strada più veloce, quella che gli uomini ci hanno di buon grado concesso, quella che cambiava conservando. Oggi è ancora più viva questa richiesta e questo riconoscimento conservatore, ci viene ancora una volta chiesto di sostenere qualcosa, non solo per gli uomini, ma per una parte delle donne, sempre in retromarcia. Il dibattito sull'utero in affitto dimostra questa tendenza.

A mio avviso in gioco c'è la messa in discussione di decenni di conquiste sui diritti, un tentativo di restaurazione in un mondo in crisi, di una sorta di rivendicazione di diritti di qualità superiore da parte di chi ha già potere socio-economico. Un pericoloso rimescolamento di quanto sancito in trattati e testi giuridici a protezione di diritti umani fondamentali. Se apri al mercato degli uteri, maggiori saranno le probabilità di sdoganare altro. Per le donne, questo chiaramente ha un impatto ben più grave e preoccupante. Qui si va dritte al suicidio di tutte le conquiste di decenni di riflessioni sulle donne come esseri umani. Qui si va dritte verso l’autorizzazione a fare di noi qualsiasi cosa il mercato chieda.

Nessuno è in vendita, questa dovrebbe essere una regola fondamentale, invece la si propone come soluzione di vita, ancora una volta a noi donne.
Come donna non me ne faccio niente della libertà di disporre del mio corpo se poi perdo la salute e resto sempre un oggetto senza diritti.

Non c'è possibilità di trovare un punto di incontro, se cancelliamo il principio secondo cui nessuno può usare, comprare un altro essere umano.
L'individualismo ha prodotto questo, il superamento di principi fondamentali nel nome di una presunta scelta libera e di un desiderio che non vuole darsi limiti.

Addirittura mi viene tolta la facoltà di decidere se interrompere o meno la gravidanza, perché un contratto può soppiantare anche questo.

D'altra parte, una regolamentazione restrittiva, in termini di gratuità e di relazioni strette, non piace a molti e non risolve la domanda, altrimenti non ci sarebbe stata una nicchia di mercato da creare e da sfruttare.

Il mercato, le agenzie, il giro di denaro sono nati perché evidentemente non ci sono tutte queste donne (madri (che poi per ragioni anagrafiche e di salute, quante ce ne sarebbero?), sorelle, amiche) disponibili a donare se stesse in via del tutto solidale e gratuita.

Quindi mi chiedo se regolamentando e restringendo la gpa solo a questo tipo di relazioni "strette", si avrebbe comunque la soluzione che molti ricercano. Ci sarebbe ancora il mercato sommerso, all'estero, senza troppi cavilli e controlli.

In questi giorni si è fatto il solito bilancio annuale sulle nascite: "numeri sul calo delle nascite che continuano a scendere preoccupano i demografi" .

Un po' conta il noto invecchiamento della popolazione che riduce il numero di donne in età fertile, ma la maggior parte delle cause risiedono nella crisi, nella precarietà, nella mancanza di futuro e di disponibilità economiche.
Vi consiglio anche la lettura del rapporto Istat "Come cambia la vita delle donne" del 2015 (decennio 2004-2014).

Abbiamo delle generazioni il cui futuro è quanto mai incerto, si lascia il nucleo familiare originario sempre più tardi (ammesso che si riesca), la nostra vecchiaia sarà segnata da povertà e immense difficoltà, e non ce ne si occupa adeguatamente.

Chi è in età fertile oggi ha un bel po' di limitazioni, di cui pochi si interessano.

Diciamo che la nostra voglia di fare figli è "strozzata" non poco, insieme a tutti gli altri desideri o aspirazioni. Quindi la mia domanda è: a chi serve l'utero in affitto?
Quale tipo di genitorialità soddisfa?
Quanti, nonostante problemi fisiologici, ricorrerebbero a questo iter, quanti potrebbero/vorrebbero usufruirne?
Quali sono i reali risvolti della faccenda? Cosa stanno cercando di farci accettare?

Se tutto fosse gratuito e solidale, forse perderebbe una parte della sua forza per fare da lasciapassare ad altre disposizioni sui corpi altrui. Riflettiamoci.

Tutti si interessano ai desideri dei committenti, ma quante volte si fa riferimento ai sentimenti di chi mette a disposizione il proprio corpo, la propria persona, il proprio tempo e il proprio corpo emozionale?

Sì, al di là di chi racconta che ama "essere incinta". Sarebbe interessante fare un lavoro sociologico per capire quantitativamente quante volte si fa riferimento alle emozioni e desideri di una parte piuttosto che l'altra.
Il corpo ha modificato il suo significato, i suoi orizzonti grazie alle nuove frontiere messe a disposizione dalla tecnologia. Per cui potremmo trovarci di fronte a una sorta di deumanizzazione meccanicistica, anche involontaria.

Cito dal testo di Chiara Volpato, pag 85, Deumanizzazione: "si riferisce alla negazione degli aspetti di emozionalità, calore, apertura, vitalità, profondità. Gli individui a cui si negano tali caratteristiche sono percepiti come inerti, freddi, rigidi, passivi, superficiali, privi di curiosità e immaginazione. Essi vengono implicitamente o esplicitamente oggettivati, vale a dire considerati alla stregua di macchine, automi o robot, che suscitano indifferenza e mancanza di empatia."

La medicina e la tecnologia, la contrattualizzazione e la standardizzazione di alcune procedure possono portare a una impersonalità e passività forzate, ponendo in secondo piano la dimensione umana in un contesto relazionale. Questo andrebbe maggiormente evidenziato, soprattutto perché per molte persone è importante che ci sia una netta separazione tra committenti e portatrice (termine che non mi piace ma che viene normalmente utilizzato), non a tutti piace l'idea di una relazione continuativa e duratura con la portatrice.

Che ne direste poi se fossero solo i meno abbienti a poter disporre dei corpi di chi ha uno status socio-economico più elevato. Ci sarebbe lo stesso mercato?
Questione di censo, di potere e di forza. Problemi a cui molte sono allergiche, perché non tocca in prima persona e quindi finché saranno sempre le altre, quelle con meno possibilità, con meno forza (in ogni senso), a sacrificarsi, andrà sempre bene.

Mi dispiace, ma io suggerisco di guardare le cose da un'ottica non privilegiata. Suggerisco di non minimizzare le ricadute solo perché riguardano le altre.
D'altronde mi rendo conto che la cultura schiavistica, che è pronta a riabilitare ogni sfruttamento, non è mai scomparsa veramente dal nostro DNA.
Forse dovremmo spingere a un superamento di queste consuetudini.

Il femminismo presuppone una trasformazione radicale della società e quindi degli assetti di potere socio-economico, stiamo andando invece verso una riproposizione di modelli liberisti e patriarcali che alcune di noi oggi abbracciano e sostengono.

Il tutto per essere libere (?) come gli uomini, socie in affari? Siamo veramente giunte a un livello di ipocrisia senza ritorno.

Ci vogliono far bere l'idea che "schiave è bello". Se finora avevamo una prestazione d'opera limitata alla fornitura di capacità fisiche o mentali per la realizzazione dell'opera, se la estendiamo come nel caso di utero in affitto, avremo la prestazione d'opera in cui è il corpo ad essere prestato, reso oggetto passivo di un contratto.

La donna non agisce in alcun modo, presta se stessa in toto, in quanto utero-munita, forse è qualcosa di più simile al comodato d'uso. Attenzione, perché poi questo si potrebbe diffondere a ogni ambito delle nostre esistenze: una volta riconosciuta questa possibilità di sfruttare gli altri, ci dovremo tenere ogni abuso o possibilità di contrattualizzare gli esseri umani come oggetti, strumenti. Qualche segnale di questa mutazione in atto ce lo aveva dato anche l'uso del termine sex-work.

Non esiste la Verità assoluta, ma tacere e non interrogarsi sulle conseguenze di certe pratiche porta a un allontanamento da una apertura di un varco proprio in direzione verità.

Apertura è disvelamento, guardare dentro le cose e riconoscere rischi e benefici. Invece, mi sembra che abbiamo paura di scoprire dove ci stiamo dirigendo e quali porte stiamo aprendo. Queste sono le mie considerazioni, non hanno certamente la presunzione di avere valenza universale, ma sto cercando di portare il discorso oltre la questione contingente.

Poi possiamo continuare a ignorare certi particolari, certi segnali. Continuo a interrogarmi sulle strategie di chi ha più denaro e potere di me. Non voglio imporre niente a nessuno (sarei folle se lo facessi, conosco i miei limiti), ma mi interrogo e cerco di andare a fondo.

 

Articolo di Simona Sforza

 

 

 

Nell'immagine di copertina: opera dell'artista Giordano Pariti, 2004

Ritratto di Simona Sforza

Posted by Simona Sforza

Blogger, femminista e attivista politica. Pugliese trapiantata al nord. Felicemente mamma e moglie. Laureata in scienze politiche, con tesi in filosofia politica. La scrittura e le parole sono sempre state la sua passione: si occupa principalmente di questioni di genere, con particolare attenzione alle tematiche del lavoro, della salute e dei diritti.