L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha individuato 15 passi che dovrebbero essere rispettati nelle situazioni di travaglio, parto e allattamento al seno. Riporto di seguito i passi con alcune note a tergo come spunto di riflessione, per le future mamme che lo desiderano, per una decisione autonoma e consapevole dello svolgimento del loro parto.

Da anni ormai il parto è diventato un evento altamente medicalizzato (non è un caso che la futura mamma al momento dell’ingresso in ospedale venga chiamata paziente) rispetto al quale le mamme, nella maggioranza degli ospedali, hanno poco o nullo potere decisionale. La consapevolezza che esistono evidenze scientifiche che comprovano la non necessità, se non addirittura il danno, dell’utilizzo di alcune pratiche può essere d’aiuto a tutte le donne per iniziare a cambiare direzione, per riprendere il potere ed il controllo su un evento, la maggioranza delle volte fisiologico, che le coinvolge personalmente in prima persona.

1) Per il benessere psicologico della neo-madre deve essere assicurata la presenza di una persona di sua scelta – familiare e non – e poter ricevere visite nel periodo post-natale.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità stabilisce quindi il diritto delle future mamme ad essere accompagnate e sostenute psicologicamente durante il travaglio ed il parto da una persona di loro scelta.

Ciò significa che tale persona non deve essere necessariamente solo il futuro padre. Tengo a sottolineare questo punto perché ancor oggi, molti ospedali, permettono l’accesso alla sala travaglio ed alla sala parto esclusivamente ai futuri padri. Spesso questa decisione viene imposta con il pretesto che altre persone, specie le future nonne, potrebbero essere fonte d’ansia per la neo mamma.
Non mi soffermo a motivare nel dettaglio tale scelta limitandomi a dire che nessuno (né medico né ostetrica) può, a priori, determinare quale figura sia più adatta ad accompagnare la mamma in questo importante momento di passaggio della sua vita. Solo la mamma, poiché conosce natura, qualità ed intensità dei rapporti con le figure per lei importanti è in grado di scegliere, consapevolmente, a chi affidare il ruolo di sostegno e accompagnamento.

Oltre ai familiari ed alle amiche esistono, soprattutto all’estero, delle figure che si stanno affacciando anche nella realtà italiana. Sono le doule, donne appositamente formate e preparate a sostenere ed occuparsi la mamma sia durante la gravidanza che il travaglio/parto che nel post parto a casa.

2) A tutte le donne che partoriscono in una struttura deve venir garantito il rispetto dei loro valori e della loro cultura.

3) L’induzione del travaglio deve essere riservata solo per specifiche indicazioni mediche e in nessuna regione geografica si dovrebbe avere un tasso superiore al 10% di induzioni.

Con il termine induzione del parto si fa riferimento ad una procedura che viene messa in atto per interrompere lo stato di gravidanza provocando con mezzi idonei l’insorgenza artificiale del travaglio (1). E’ prassi frequente negli ospedali intervenire con manovre che velocizzano il travaglio senza rispettare i tempi di mamma e bambino.

L’induzione del travaglio con ossitocina fa si che le contrazioni si verifichino con una intensità difficilmente gestibile dalla mamma in quanto viene a mancare quel fisiologico tempo di abitazione che si verifica in un travaglio che procede in modo spontaneo e naturale senza intervento medico. L’elevata medicalizzazione del parto ha condotto sempre più spesso all’uso indiscriminato di induzioni di travaglio.

4) Non c’è nessuna giustificazione, in nessuna regione geografica, per avere più del 10-15% di cesarei.

Il tetto di questa percentuale non viene assolutamente rispettato in Italia; negli ultimi 20 anni si è passati da 11,2% nell’1980 a 33,2% nel 2000. Esiste, inoltre, una notevole variabilità regionale, con un minimo di 18,7% nella Provincia di Bolzano e un massimo di 53,4% in Campania nel 2000.

Anche all’interno delle regioni si riscontra un’ampia variabilità tra strutture. Questi valori pongono l’Italia al vertice della classifica europea per numero di tagli cesarei. Una serie di studi condotti negli anni dall’ISS, dall’Istat e da altre istituzioni hanno evidenziato alcuni fattori sul rischio di partorire mediante taglio cesareo: l’aumento dell’età materna, parto in strutture private, non aver frequentato un corso di preparazione alla nascita, risiedere al Sud, precedente taglio cesareo, presenza di disturbi in gravidanza.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha individuato 15 passi che dovrebbero essere rispettati nelle situazioni di travaglio, parto e allattamento al seno. Riporto di seguito i passi con alcune note a tergo come spunto di riflessione, per le future mamme che lo desiderano, per una decisione autonoma e consapevole dello svolgimento del loro parto.

Da anni ormai il parto è diventato un evento altamente medicalizzato (non è un caso che la futura mamma al momento dell’ingresso in ospedale venga chiamata paziente) rispetto al quale le mamme, nella maggioranza degli ospedali, hanno poco o nullo potere decisionale. La consapevolezza che esistono evidenze scientifiche che comprovano la non necessità, se non addirittura il danno, dell’utilizzo di alcune pratiche può essere d’aiuto a tutte le donne per iniziare a cambiare direzione, per riprendere il potere ed il controllo su un evento, la maggioranza delle volte fisiologico, che le coinvolge personalmente in prima persona.

1) Per il benessere psicologico della neo-madre deve essere assicurata la presenza di una persona di sua scelta – familiare e non – e poter ricevere visite nel periodo post-natale.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità stabilisce quindi il diritto delle future mamme ad essere accompagnate e sostenute psicologicamente durante il travaglio ed il parto da una persona di loro scelta.

Ciò significa che tale persona non deve essere necessariamente solo il futuro padre. Tengo a sottolineare questo punto perché ancor oggi, molti ospedali, permettono l’accesso alla sala travaglio ed alla sala parto esclusivamente ai futuri padri. Spesso questa decisione viene imposta con il pretesto che altre persone, specie le future nonne, potrebbero essere fonte d’ansia per la neo mamma.
Non mi soffermo a motivare nel dettaglio tale scelta limitandomi a dire che nessuno (né medico né ostetrica) può, a priori, determinare quale figura sia più adatta ad accompagnare la mamma in questo importante momento di passaggio della sua vita. Solo la mamma, poiché conosce natura, qualità ed intensità dei rapporti con le figure per lei importanti è in grado di scegliere, consapevolmente, a chi affidare il ruolo di sostegno e accompagnamento.

Oltre ai familiari ed alle amiche esistono, soprattutto all’estero, delle figure che si stanno affacciando anche nella realtà italiana. Sono le doule, donne appositamente formate e preparate a sostenere ed occuparsi la mamma sia durante la gravidanza che il travaglio/parto che nel post parto a casa.

2) A tutte le donne che partoriscono in una struttura deve venir garantito il rispetto dei loro valori e della loro cultura.

3) L’induzione del travaglio deve essere riservata solo per specifiche indicazioni mediche e in nessuna regione geografica si dovrebbe avere un tasso superiore al 10% di induzioni.

Con il termine induzione del parto si fa riferimento ad una procedura che viene messa in atto per interrompere lo stato di gravidanza provocando con mezzi idonei l’insorgenza artificiale del travaglio (1). E’ prassi frequente negli ospedali intervenire con manovre che velocizzano il travaglio senza rispettare i tempi di mamma e bambino.

L’induzione del travaglio con ossitocina fa si che le contrazioni si verifichino con una intensità difficilmente gestibile dalla mamma in quanto viene a mancare quel fisiologico tempo di abitazione che si verifica in un travaglio che procede in modo spontaneo e naturale senza intervento medico. L’elevata medicalizzazione del parto ha condotto sempre più spesso all’uso indiscriminato di induzioni di travaglio.

4) Non c’è nessuna giustificazione, in nessuna regione geografica, per avere più del 10-15% di cesarei.

Il tetto di questa percentuale non viene assolutamente rispettato in Italia; negli ultimi 20 anni si è passati da 11,2% nell’1980 a 33,2% nel 2000. Esiste, inoltre, una notevole variabilità regionale, con un minimo di 18,7% nella Provincia di Bolzano e un massimo di 53,4% in Campania nel 2000.

Anche all’interno delle regioni si riscontra un’ampia variabilità tra strutture. Questi valori pongono l’Italia al vertice della classifica europea per numero di tagli cesarei. Una serie di studi condotti negli anni dall’ISS, dall’Istat e da altre istituzioni hanno evidenziato alcuni fattori sul rischio di partorire mediante taglio cesareo: l’aumento dell’età materna, parto in strutture private, non aver frequentato un corso di preparazione alla nascita, risiedere al Sud, precedente taglio cesareo, presenza di disturbi in gravidanza.