Chi lo avrebbe mai detto? Dai tempi di Eduardo de Filippo non si svezzava un bambino tra le quinte dei palcoscenici. Uno stormo di tate e puericultrici, di educatori e psicologi ficcanaso ci hanno imposto la regolarità, la calma, la pace.

Piuttosto la mamma va al lavoro dalla mattina alle nove fino alla sera alle 18.00, ma vivere in questo modo, no! E' disdicevole! Tra attori gai maniaci di esibizionismo che si mettono nudi ogni cinque minuti, primedonne che arrivano con una valigia trollej che contiene solo trucchi per il viso e otto borse per i vari cambi d'abito durante le prove, tecnici luci molto scurrili votati al turpiloquio fisso (“Un caffè, cazzo. Grazie, cazzo. Buono, cazzo.”), film-maker che lasciano in giro luci e prese elettriche a voltaggio incontrollato (gente tipo il suo papà che dice “Tranquilla, il teatro ha l'impianto a norma di sicurezza”).

Non diciamo nulla dello sfondo vetero-comunista in cui poi facciamo lo spettacolo: teatri con mucchi di polvere sul pavimento palco, in legno non limato, gente che fuma al chiuso nonostante il divieto, camerini piccolissimi, pubblico molesto, critici molesti, pubblico anziano, niente pubblico, crisi isteriche di primedonne, drammaturghi tecnici luci, produttori.

E ancora musiche che non partono, memorie luci sbagliate, applausi fragorosi.

In tutto questo eccolo che sgattona come un gattone tra la gente, poi si alza e corre battendo le mani. Sì mio figlio batte le mani e si fa battere le mani tutto il giorno. (Ogni tanto anche alle 2 di notte sigh!, lo trovi nel lettino che batte le mani e canta un'aria lirica!)

Corre da una parte all'altra della sala prove, fa le piroette, ride con tutti i teatranti, a volte va a letto alle 23,00 perché non vuole finirla di fare lo scemo con la compagnia degli istrioni. Allora tutti a cantargli la buonanotte, cantanti, cabarettisti, giocolieri e danzatori, donne uomini, transgender e scrittori, tutto il popolo del palcoscenico tra fuori il suo talento per ninnare il mio bimbino.

Io lo trovo vivace, ma devo ammetterlo, sono molto lontana dal dargli la vita che vivono gli altri bimbi: svegli alle sette, nido alle 9, casa alle 13.00, sonnellino, gioco, pappa, nanna alle 8.30.

No lo ammetto, signori della corte, nemmeno io ho un ufficio da raggiungere, sono una mamma insonne, e ho comprato la pastasciutta surgelata. Lo ammetto e chiedo scusa. Però adesso mio figlio sta suonando il bongo con il suo papà e canta una canzone africana che fa più o meno così: “eua euha euaua uuuu, mamma pappa cacca buuu.”

E io lo amo così tanto che mi scoppia il cuore, quando mi corre tra le braccia e mi dà una leccata, proprio come un gatto miao, quando mi strilla nelle orecchie all'improvviso, quando mi butta a terra il cellulare, quando si accoccola sulla mia pancia e guardiamo insieme la Pimpa.

Allora mi sparisce ogni dubbio, e forse, penso, che cresca sull'arca di Noè, in un igloo, su un palcoscenico o nella foresta vergine, l'amore è quello che vince sempre.

 

 

Ritratto di Francesca Sangalli

Posted by Francesca Sangalli